La prima guerra civile mondiale

Manning, Snowden, Assange, Miranda, The Guardian. Ogni giorno che passa, riceviamo la conferma di una verità che molti preferirebbero ignorare: siamo in guerra. Una guerra sommersa, relativamente tranquilla, ma comunque una guerra.

A differenza di una guerra convenzionale, una guerra civile non ha un fronte ben definito, né belligeranti chiaramente identificabili per il colore della loro uniforme. Ogni campo è ovunque, nella stessa città, nella stessa area, o nella stessa famiglia.

Da una parte, vi è la classe al potere. Ricchi, potenti, sono abituati a controllare, sono estranei alle domande. Semplicemente prendono le decisioni e sono fermamente convinti di farlo nel pubblico interesse. Molti, né ricchi né potenti, li sostengono. Per paura del cambiamento. Per abitudine. Per interesse personale. Per la paura di perdere le certezze acquisite. O semplicemente non hanno la capacità intellettuale per capire la rivoluzione in corso.

Dall’altra parte, c’è la generazione digitale. Di tutti i sessi, tutte le età, tutte le culture, tutte le aree geografiche. Parlano tra loro, scambiano esperienze. Scoprono le loro differenze, cercano i punti in comune e rimettono tutto in discussione, anche la fede e i profondi valori dei loro genitori. Li chiamo una “generazione”, ma sono di tutte le età.

Questa popolazione ha sviluppato valori propri, ma anche una intelligenza analitica non comune. Utilizzano tutti gli strumenti a disposizione per individuare rapidamente le contraddizioni, porre le domande pertinenti, sollevare il velo delle apparenze. Attraverso migliaia di chilometri, i suoi membri possono provare empatia nei confronti di tutti gli esseri umani.

Un crescente divario

Per molto tempo, ero convinto che si trattasse solo una questione di tempo. Che la cultura digitale avrebbe permeato sempre più gli individui e il divario sarebbe poi scomparso nel corso delle generazioni e del rinnovamento naturale.

Nonostante la divulgazione di strumenti come gli smartphone o Twitter, questo divario non è stato riassorbito. Al contrario, non fa che peggiorare. La generazione al “potere” non ha adottato la cultura digitale. Essa si accontenta di manipolare ciecamente gli strumenti senza comprenderli, in una disperata parodia del culto del cargo. Risultati: musicisti che insultano i propri fan; giornali i cui siti web, inondati di pubblicità, sembrano essere copie conformi alle versioni cartacee; giovani politici che utilizzano Facebook o Twitter come macchine per pubblicare i comunicati stampa senza tentare di comunicare con il proprio elettorato.

40 anni fa, due giornalisti hanno rivelato al mondo che il presidente della nazione più potente ha usato i servizi segreti per intercettare i suoi avversari politici. Questo lavoro di indagine gli ha valso il Premio Pulitzer e ha portato alle dimissioni del presidente.

Oggi, individui impregnati di cultura digitale mostrano al mondo che il presidente della stessa nazione ha messo sotto intercettazione il mondo intero! Che invia uomini a massacrare cinicamente i civili. Un altro premio Pulitzer? No, 35 anni di carcere per uno e una caccia all’uomo in tutto il mondo per l’altro. Il presidente in questione è, tra l’altro, un premio Nobel per la pace.

La morte del giornalismo

A differenza del Watergate, non è più possibile fare affidamento sulla stampa. Una gran parte dei giornalisti hanno abbandonato qualsiasi lavoro di indagine, anche superficiale. I giornali sono diventati organi di intrattenimento o di propaganda. Con un po’ di critica, si sarebbe in grado di confutare la maggioranza degli articoli di notizie, dopo qualche minuto di ricerche sul web.

E quando i pochi giornalisti rimasti iniziano a scavare, vedono la loro famiglia arrestata e detenuta senza motivo, ricevono minacce politiche e sono costretti a distruggere le loro attrezzature. Il giornale on line Groklaw, che è stato un sito determinante nella pubblicazione di notizie legate a grandi processi industriali, recentemente chiuso perché il suo creatore è spaventato.

La classe dirigente ha deciso che il giornalismo si deve accontentare di due cose: far temere il terrorismo, per giustificare il controllo totale, e sollevare lo spettro della perdita dei posti di lavoro, per dare una falsa impressione di inevitabilità di fronte alle scelte personali.

Certamente, tutto questo probabilmente non è stato attuato consapevolmente. La maggior parte dei soggetti sono intimamente convinti di lavorare per il bene pubblico, di sapere che cosa è bene per l’umanità.

Vi farà credere che spiare le mail o il caso Wikileaks sono dettagli, che le questioni importanti sono l’economia, i posti di lavoro, e i risultati sportivi. Ma questi problemi dipendono direttamente dal risultato della battaglia attualmente in corso. Grandi crisi e guerre finanziarie sono state create da zero da parte della classe dirigente attualmente al potere. La generazione digitale, portatrice di nuove proposte è imbavagliata, soffocata, derisa o perseguitata.

Il panico

Nel 1974 per la classe dirigente è stato più facile sacrificare Nixon e far cadere qualche testa con lui. I paralleli con la situazione attuale sono preoccupanti. La classe dirigente di oggi ha paura, in uno stato di panico, e non agisce più razionalmente. Cerca di creare degli esempi a qualunque prezzo, per riparare ogni perdita nella speranza che siano solo pochi casi isolati.

Non esitano ad utilizzare le leggi anti-terrorismo ingiustamente, contro i giornalisti stessi. Coloro che hanno predetto tali cose un anno fa sono stati trattati da paranoici. Ma anche il più pessimista probabilmente non avrebbe immaginato di avere ragione così in fretta, in modo così diretto. Ora siamo più terrorizzati dallo Stato anti-terrorista che dalla minaccia terroristica stessa.

La distruzione dei dischi dei computer al The Guardian è sicuramente l’evento più emblematico. La sua inutilità, la sua totale assurdità non può nascondere la violenza politica di un governo che impone la sua volontà minacciando un organo di stampa riconosciuto e rinomato.

Questo episodio illustra la totale incomprensione del mondo moderno da parte della classe dirigente. Un mondo che pensavano di dirigere ma che è fuggito al loro controllo. Ammantandosi nella ridicola autorità della loro ignoranza e arroganza, i governanti dichiarano apertamente una guerra a tutti i cittadini del mondo intero.

Una guerra che non può essere vinta, che è già persa. Ma cercheranno di farla durare, trascinando verso il basso molte vittime che verranno ingiustamente incarcerate per anni, torturate, arrestate, perseguitate, distrutte moralmente spinte al suicidio, inseguite in tutto il mondo.

Questo è già il caso oggi. E perché hai avuto la sfortuna di essere sull’aereo sbagliato o hai inviato una e-mail alla persona sbagliata, potresti essere il prossimo della lista. Non c’è neutralità possibile. Siamo in guerra.

Questo post è stato pubblicato in Francese su Ploum.net.
Traduzione italiana a cura di Mauro Pirata del Partito Pirata Italiano

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