"Come dovrebbe essere pagato un artista?" Non è una domanda, è un insulto

C’è una domanda che continua a saltar fuori da quando si discute della condivisione della cultura e della conoscenza in violazione del monopolio del copyright. Ma nei confronti dell’arte non è tanto una domanda quanto un’insulto.

Tutti abbiamo sentito spesso l’obiezione alla condivisione della cultura e della conoscenza “come verranno pagati gli artisti, se producete delle copie delle loro creazioni senza pagarli?”. Questa domanda è delirante su così tanti livelli che ne ho perso il conto.

In primo luogo, gli artisti vengono copiati per essere pagati, non solo attraverso una vendita per-copia (che oggi non si potrebbe vendere del tutto se l’economia funzionasse), ma in altri modi. Io incoraggio che si copi il mio manuale sulla leadership Swarmwise, ad esempio, perché so che il libro promuove altre strade per averne un ricavo. Il reddito medio dei musicisti è aumentato del 114% da quando la gente ha iniziato a condividere la cultura on-line su larga scala, secondo uno studio norvegese. Altri studi sono d’accordo con questa osservazione.

In secondo luogo, anche se non vengono pagati, le persone che condividono non hanno alcun tipo di responsabilità per i modelli di business di altri imprenditori. Perché è questo che sono gli artisti una volta che si mettono a strimpellare la loro chitarra in una cucina per vendere: imprenditori. A quegli imprenditori si applicano le stesse regole che a ogni altro imprenditore del pianeta: nessuno è debitore di una vendita ad un imprenditore, dovete offrire qualcosa che qualcun altro vuole comprare. Vuole. Comprare. Non ci sono scuse, niente è meritato, si tratta solo di affari.

In terzo luogo, non viviamo in un’economia pianificata. Nessuno viene ritenuto responsabile da dove debba venire lo stipendio di qualcuno se non proprio quella persona. Nella Russia sovietica, si potrebbe dire a Vladimir Sklyarov che il suo strimpellare di chitarra era altamente artistico e che pertanto il suo prossimo stipendio sarebbe arrivato dall’Ufficio delle Arti Incomprensibili. Ma non viviamo in un’economia pianificata, viviamo in un’economia di mercato. Ognuno è responsabile del proprio stipendio – di trovare un modo per fare soldi fornendo valore che qualcun altro vuole pagare. Vuole.Pagare. Non ci sono scuse, niente è meritato.

In quarto luogo, anche se questo insieme di imprenditori magicamente meritasse denaro nonostante non faccia alcuna vendita, il controllo di ciò che le persone condividono tra di loro non può essere raggiunto senza smontare la segretezza della corrispondenza, il monitoraggio di ogni parola comunicata – e le libertà fondamentali che dovrebbero venire prima dei profitti di chiunque. Non abbiamo mai determinato quali libertà civili abbiamo in base a chi può trarne profitto e chi non.

Ma torniamo alla radice della questione. Non è una domanda, è un insulto. Che è rimasto in giro per tanto tempo quanto l’arte stessa, perché implica che gli artisti hanno bisogno o anche meritano di essere pagati. Nessun artista pensa in questi termini. Quelli che pensano in questi termini sono gli imprenditori intermediari parassiti che trovate difendere il monopolio del copyright e poi derubare completamente gli artisti e i loro fan, ridendosela lungo tutta la strada che li porta in banca mentre sfruttano spietatamente un sistema di monopolio legale: il monopolio del copyright.

Nel frattempo, tra gli artisti, c’è un insulto che è rimasto costante durante tutta la storia dell’arte, un insulto tra gli artisti che strappa via l’arte, che dice a qualcuno dice non sono neanche degni di chiamarsi artisti. Quell’insulto è “Sei qui per i soldi”.

“Come verrebbero pagati gli artisti?”, implica che altrimenti gli artisti non suonerebbero o non creerebbero, che lo stiano facendo per i soldi (solo per i soldi), è un insulto molto grave.

C’è un motivo perché “tutto esaurito” sia una cosa molto negativa nel settore artistico. La grande maggioranza degli artisti non sono per niente contenti quando gli si chiede se lo fanno per fare soldi; è un grave insulto. La frequente affermazione che non crei cultura se non sei pagato per farla proviene da coloro che sfruttano gli artisti e mai dagli stessi artisti.

Dopo tutto, noi come individui creiamo non perché possiamo farne soldi, ma per ciò che siamo – come siamo cablati. Abbiamo creato sin da quando abbiamo imparato a mettere vernice rossa all’interno delle pareti della grotta. Siamo animali culturali. La cultura è sempre stata parte della nostra civiltà, ricompensati o meno.

Tuttavia, se un artista vuole vendere i suoi prodotti o servizi e diventare un imprenditore, gli auguro tutta la fortuna e il successo in tutto il mondo. Ma gli affari sono affari, e non c’è niente che dia ad un imprenditore il diritto sul vendere.

Articolo tradotto da Mauro Pirata del Partito Pirata Italiano

Rick Falkvinge

Rick is the founder of the first Pirate Party and a low-altitude motorcycle pilot. He lives on Alexanderplatz in Berlin, Germany, roasts his own coffee, and as of right now (2019-2020) is taking a little break.
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